Gli Antichi Egizi possedevano uno spiccato senso del bello
e dell’estetica e il più bel messaggio che abbiano potuto inviarci lo hanno
affidato a due celeberrimi ritratti di una Regina molto amata soprattutto dai
posteri: Nefertiti! Donna dalla
leggendaria bellezza e dalla grazia delicata e sensuale.
Nell’Antico
Egitto uomini e donne apprezzavano molto balsami ed unguenti e prestavano
particolare attenzione alla cura del corpo, ai profumi, all’acconciatura ed
all’abbigliamento, ivi compreso i gioielli.
E ciò non soltanto per quell’innato senso estetico che li
accompagnò fin dall’inizio della loro storia e non soltanto per ragioni
igieniche, ma anche per un motivo squisitamente trascendentale. Era loro ferma
convinzione che la temporanea vita terrena
fosse solo un preludio ad una vita eterna ed era ambizione di tutti viverla nel modo più felice
possibile e con un corpo giovanile e ben curato.
Splendide e meravigliose scene ritraggono seducenti figure di donne con in mano
specchietti dalla squisita e fantasiosa fattura.
Ankh era il nome dello specchio, stesso
termine che usavano per indicare la Vita.
E non a caso!
Lo specchio non era un semplice oggetto a cui chiedere il consenso per la riuscita del trucco;
lo specchio era il magico riflesso di atti e gesti quotidiani: truccata,
pettinata, profumata ed abbigliata, la donna (ma anche l’uomo) poteva
affrontare la sua giornata.
In metallo, argento oppure bronzo, finemente lucidato, lo specchio aveva quasi sempre forma rotonda
od ovale con preziose decorazioni e finissime incisioni sul retro e sul manico.
Un certo stile di vita e pressanti necessità igieniche favorirono l’uso di
abluzioni; anche più volte al giorno. Alle abluzioni seguivano i massaggi con
unguenti e creme.
Nel creare unguenti, deodoranti, profumi, ecc… gli antichi
egizi erano veri maestri: ricette di
cui i sacerdoti dei Templi di Thot o
Ammon o delle sacerdotesse di Iside o Hathor erano particolarmente gelosi.
Dai famosi papiri Ebers sappiamo che dalla mirra e dai semi
di dattero e incenso estraevano olii aromatici; che da grassi animali (ippopotami,
coccodrilli, ecc) e da grassi
vegetali creavano creme per rassodare
la pelle, ammorbidirla e renderla levigata, attenuare le rughe, coprire i
cattivi odori, ecc… Lo testimoniano i
numerosi porta-unguenti, le ingegnose spatole, i preziosi cucchiai per
cosmetici, ecc… rinvenuti nelle tombe, alcuni dei quali sono vere sculture.
Piccole opere d’arte preziose e fantasiose.
Dopo il massaggio, la vanitosa signora egizia passava al
trucco. Truccarsi era una pratica assai diffusa e non solo tra le donne.
Per il trucco degli occhi
usava due sostanze: la verde malachite del Sinai e successivamente la nera galena del Mar Rosso, adatta, quest’ultima, anche al
trucco di ciglia e sopracciglia. Entrambi i pigmenti venivano utilizzati non
solo a scopo estetico, ma anche terapeutico e medicamentoso perché utili a
curare la congiuntivite (male assai diffuso),
allontanare insetti, riparare lo sguardo dall’ingiuria del sole.
Oltre agli occhi la donna egizia qualche volte truccava
anche bocca (piuttosto raramente, in verità) e guance, mediante l’applicazione
di carminio e non mancava mai di curare mani e piedi sui quali amava stendere una leggerissima polvere arancio- dorata prima di infilarli in raffinati sandali di corda intrecciata.
La materia prima di tutti questi prodotti, però, arrivava
da terre lontane: Libano, Arabia, ecc..
Erano assai costose e non alla portata di tutte le tasche. Solo
in età tarda gli Egizi cominciarono a piantare sul patrio suolo gli alberi da cui estrarre le sostanze. I
prezzi divennero più accessibili,
tuttavia, per molti
restavano ancora proibitivi e per ovviare,si faceva ricorso a sostanze
meno costose, come la menta e l’origano
fatte fermentare nell’olio di ricino o altre sostanze ancora.
Terminato il trucco, la
dama egizia passava
all’acconciatura: una vera arte!
Un’arte nella quale era non meno vanitosa della donna moderna. E forse
anche di più.
Molto in voga era la parrucca il cui uso si fa risalire
fino ad epoca antica.
Capelli o parrucca?
La donna egizia amava esibire entrambi: un’acconciatura
elaborata ed impreziosita da un diadema, ma anche una parrucca acconciata in treccine ornate di perline e cosparsa di polvere dorata. Una
chioma fluente, però, ben curata, frizionata, morbida e setosa, costituiva
sempre un elemento di grande seduzione.
Le più giovani portavano una lunga treccia ricadente sulle spalle e le bambine
esibivano la treccia infantile laterale
che lasciava il resto del capo rasato.
Pettinature e parrucche conobbero una certa evoluzione nel
tempo. Inizialmente più corte, andarono sempre più allungando e crescendo di
volume oltre che di estrosità… proprio come le parrucche dei nostri giorni.
Truccata e pettinata, la dama egiziana era pronta ad
infilarsi nella preziosa veste di lino bianco.
Lino bianco! Era la materia prima nella fabbricazione dei
tessuti pregiati. Altre fibre di cui si sono trovate tracce, canapa, cotone,
lana, erano poco usate perché poco apprezzate e ritenute impure soprattutto per
uso funerario… il suo uso, perciò, era lasciato alla gente di rango inferiore
Lino bianco, dunque, per le lunghe tuniche aderenti
sostenute da bretelle oppure provviste di lunghe maniche ampie e plissettate.
Profonda la scollatura.
Lino bianco, ampio, leggerissimo, trasparentissimo ed a
pieghe per la sopraveste che si annodava sotto il seno o sul fianco: un
raffinato mantello chiamato Calasiris, che poteva essere anche colorato, ma sempre con frange e pieghe.
Famosi i Calasiris delle pitture parietali della tomba
della regina Nefertari.
E non poteva mancare, soprattutto nelle cerimonie e
nei banchetti, il cono profumato sopra l’acconciatura. Si trattava di un
prodotto grasso e profumato a forma di cono che si poggiava sul capo e che il
calore del corpo scioglieva lentamente, rilasciando profumo sulla persona e sull’abito.
A questo punto alla nobile e ricca signora egizia mancava
solo un ultimo, irrinunciabile accessorio: i gioielli.
I gioielli, il cui valore non era legato solamente all’intrinseca
preziosità della pietra, ma alla protezione magica e benefica di cui era
arricchita in virtù di un suo valore simbolico che l’avvicinava al divino. Ed
ecco il rilucente oro, di cui si credeva fossero fatte le membra degli Dei o
l’argento di cui si credeva fossero fatte le ossa divine, ma anche la sanguigna
corniola di cui si pensava fosse il sangue degli Dei. Non mancavano il verde feldspato e il celeste turchese di cui si
immaginavano gli occhi degli Dei; infine, il lapislazzulo blu, di cui erano
fatti i capelli degli Dei.
Erano questi simbolici accostamenti a dare valore al
gioiello: ornamento, ma soprattutto protezione magica.
Per questo anche le mummie ne venivano adornate.
Ma non
solo la scelta del materiale era simbolica. anche la forma e la fattura lo
erano. E lo erano i soggetti.
I soggetti: pettorali, bracciali, anelli, fibule, collane,
amuleti, ecc… raffiguravano le Divinità e le loro funzione.
Assai più semplici e modeste, invece, le lunghe o corte tuniche delle popolane e delle ancelle ed assai meno costosi i loro gioielli e meno raffinati i sandali e le parrucche, benché la tentazione di emulazione fosse piuttosto forte… ma questo è un peccato anche dei nostri giorni.
Che post delizioso e interessante.
RispondiEliminaciao, Tullia... grazie dell'apprezzamento... é delizioso anche il tuo giudizio... a presto, Maria
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