.................
Due mesi dopo misi al mondo la mia creatura.
Era un maschio e gli fu dato il nome di Ismaele, che significa:
"Il Signore ha esaudito", proprio come il mio amatissimo Amosis mi
aveva predetto la notte in cui avevo lasciato Tebe.
Fu tutto come un sogno: il sorriso di Abramo, i doni di Sarai, il mio
pianto di gioia. E poi, il ventre vuoto, il seno gonfio, il cuore triste.
Nella profonda tristezza che nasceva da un dolore nuovo e nel rimpianto
che veniva dalla rinuncia, scoprii la solitudine alimentata dal rancore.
Partorii sulle ginocchia di Sarai; lei stessa aveva reciso il cordone
ombelicale e per questo mio figlio le spettava di diritto: erano le
consuetudini.
Di tutte le consuetudini che Abramo aveva spezzato, di quelle portate
dalla Terra di Nahor, quella che permetteva ad una donna di portar via il
figlio a un'altra donna, continuava a resistere.
A Tebe no! A nessuna madre sarebbe accaduto mai.
Hathor l'avrebbe impedito!
Sarai reclamò il suo diritto di Grande Madre del popolo di Jhwh. La
guardavo, mentre recideva il cordone che ancora legava mio figlio alla mia
carne. Era di nuovo bella; quasi come mi era apparsa nel giardino del principe
Abimelech, ma più radiosa. I simboli della dignità matriarcale, trionfavano sul
suo petto e sulla fronte. Il volto, felice ed appagato, era il volto di una
donna diventata madre.
"Il mio bambino.- disse tendendo le braccia verso mio figlio -
Guarda il mio bambino, Agar, sorella mia."
"Non chiamarmi Agar. – proruppi - Non chiamatemi mai più Agar, che
vuol dire Gioia..Chiamatemi Mara:… perché gonfio di amarezza è il mio cuore…"
Lei mi fece una carezza e si allontanò col frutto del mio grembo ed io
mi sentii il più spoglio degli arbusti e il più solitario dei loti. Le facce
mute della gente, il deserto grigio, il cielo, il silenzio, il vagito del mio
bimbo che si faceva sempre più lontano, parevano attendere le mie grida di
dolore.
Nelle notti che seguirono, la clessidra accanto alla stuoia chioccolava
lenta e ogni goccia mi teneva sveglia e teneva sveglia la mia pena alimentata
dal dolore. Un dolore nuovo; diverso da ogni altro dolore patito prima. Diverso
da quello per i bimbi della fornace del Santuario di Hathor; diverso da quello
per la morte di Amosis e di Merit; diverso anche da quello per la perdita di
Hiram: era il dolore che tiene vivo il mondo!
Cosa è il Nilo, se non le lacrime di dolore di Iside per lo smembramento
del corpo di Osiride? Non è, forse, una vena aperta sul corpo di Hapy? Anche il
mio corpo e il mio spirito sanguinavano come il Nilo.
Il dolore, sprofondato nel rancore, mi aggredì lo spirito come un
insetto attacca le radici delle piante nella stagione secca: non sentivo più il
canto degli uccelli e le tende del campo mi parevano vele alla deriva.
Ne fui atterrita. Conoscevo la devastazione di quel sentimento. Gli
oscuri fantasmi, generati in me dagli Dei di Ugarit, di Gerar e perfino dal Dio
di Abramo, insidiavano ancora la parte più profonda del mio spirito, ma io
decisi di deporre rancori e atteggiamenti di ribellione.
Fu per questo, forse, che Sarai mi concesse di allattare il mio
bambino. E mentre porgevo il seno al mio piccolo, che mi trafiggeva il cuore
col suo sguardo innocente, mi domandavo se ero proprio io quella donna
sottomessa.
Dov’era andata a nascondersi la principessa di Tebe che seguiva il volo
degli ibis sognando di volare un giorno con loro?
Ma non c'erano ibis nel cielo di Mambre, solo civette e corvi!
(continua)
brano tratto da "A G A R" di Maria Pace
su AMAZON
su AMAZON
http://www.amazon.com/Agar-Italian-Maria-Pace/dp/1511520973/ref=la_B00LB5OTB4_1_2?s=books&ie=UTF8&qid=1431788442&sr=1-2
tradotto in lingua inglese e lanciato sul mercato di Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna da
tradotto in lingua inglese e lanciato sul mercato di Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna da
Editrice AMERICA STAR BOOKS
oppure AUTOGRAFATO e con DEDICA direttamente presso l'autrice
mariapace2010@gmail.com
mariapace2010@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento