domenica 25 ottobre 2015

IL MATRIMONIO NELLA CULTURA BIBLICA




“Non è bene che l’uomo resti da solo, facciamogli un aiuto simile a lui.” si legge nella Bibbia (Tobia  (8/6)
Amore e Matrimonio.
Non solo unione sessuale allo scopo di procreare o avere una vita affettiva, però, ma anche vita di coppia  in unione con  Dio, rafforzata con la preghiera e la Benedizione.
Diciotto anni era l’età giusta per contrarre matrimonio per l’uomo e dodici e mezzo per la donna.
La Legge prescriveva che  la donna fosse libera di sposare chi voleva ma che la scelta restasse nell’ambito dlla tribù e che  cadesse sul parente più prossimo.Soprattutto se la donna era figlia unica, allo scopo di evitare  che il patrimonio finisse in un’altra tribù.
Era  necessario, però, il consenso del padre della sposa il quale aveva l’obbligo di cedere la figlia al parente più prossimo.

L’istituzione del matrimonio prevedeva due fasi:
- La Richiesta di  prendere in moglie una donna  fatta da amici o parenti delll’aspirante marito.
- L’accettazione formale da parte della donna.

Il Rito matromoniale consisteva:
- Consegna della sposa allo sposo da parte del padre di lei
- Invocazione della Benedizione di Dio
- Stesura del contratto matrimoniale

Nel contratto matrimoniale si dichiarava la libera volontà dell’uomo e della donna di conttarre matrimonio, lo stato di verginità della donna, i beni che la donna doveva portare in dote  e l’ammontare dell Mohar, la somma che lo sposo doveva consegnare al padre della sposa o a chi aveva  potestà su di lei .

IL Mohar era una somma in  denaro o  in beni  che diventava proprietà della sposa, ma che di solito era amministrata dal padre di lei. Essa, però, tornava nelle mani della donna  in caso di divorzio o di  decesso del marito.
Ad accompagnare la stesura del Contratto Matrimoniale c’era anche  un rituale simbolico:  lo sposo copriva la sposa con il proprio mantello.  (in caso di divorzio, invece,  lo sposo tagliava un lembo del mantello della sposa).
A suggellare la Cerimonia Matrimoniale c’era il Banchetto Nuziale, allietato da danze, canti e  suoni.

Per vedove in seconde nozze, la cerimonia veniva celebrata il quarto giorno a partire dalla domenica e cioè il mercoledì. Per le ragzze vergini, invece, si celebrava il terzo giorno e cioè il martedì.
Il giorno successivo si runiva il “Tribunale speciale”: se la ragazza non  era vergine le veniva inviato il  “Libello del ripudio”.
Con il matrimonio lo sposo acquisiva la potestà sulla  donna, ma non la proprietà. Egli aveva l’obbligo di  provvedere al suo sostentamento, ma non poteva vederla e cederla ad altri.Durante il rito, gli sposi  pronunciavano la formula attraverso cui manifestavano  la propria libera volontà ad unirisi in matrimonio:
“Tu  sei mia sorella per sempre.” dichiarava l’aspirante sposo.
“Tu sei mio fratello per sempre” dichiarava l’aspirante sposa
I termini “fratello” e “sorella” presso le antiche  culture avevano anche altri significati, tra cui “sposo” o “sposa”.

Le  cerimonie di Richiesta Matrimoniale o Fidanzamento  e quella di Matrimonio  vero e proprio erano distanziate da un lasso di tempo più o meno lungo ed erano accompagnate  da riti, feste e banchetti che  duravano non meno di sette giorni, un periodo chiamato “Settimana nuziale” , mìa che poteva  prolungarsi addirittura per un’altra settimana.

IL MATRIMONIO NELLA CULTURA EGIZIA




IL MATRIMONIO NELLA SOCIETA' EGIZIA
“Creati una famiglia e ama tua moglie come si merita. Nutrila, vestila e rallegra il suo cuore. Essa è un buon campo per il suo signore.”
Così si legge nelle “Esortazioni di Pthahotep”.
E ancora:
“Prendi moglie allorché sei giovane affinché essa possa darti un figlio. Dovresti averlo da giovane, onde poter vivere sino a vederlo uomo.”
Crearsi una famiglia era un traguardo assai importante nell’antica cultura egizia: possedere una casa, prendere moglie, allevare figli.
L’egiziano antico era un uomo essenzialmente monogamo, nonostante l’istituto del concubinato. Una sola, infatti, era la Nebet Per, ossia la “Signora della Casa”, così come appare anche nelle statue che raffigurano la coppia dove la donna è ritratta sempre in dimensioni uguali a quelle dell’uomo.
Naturalmente il concubinato esisteva, ma era praticato soprattutto nelle classi sociali più elevate ed è comprovato da attestati matrimoniali delle varie spose. Anche qui, però, nel gineceo, una sola era la Nebet Ipet ossia, la “Signora dell’harem”.
Era soprattutto il Faraone che, per rinsaldare alleanze politiche ricorreva a numerosi matrimoni attraverso i quali vedeva accrescere il numero di figli e la possibilità di consolidare il potere. Ognuno di quei figli, infatti, veniva educato per ricoprire cariche pubbliche religiose o amministrative, mentre le figlie venivano fatte sposare a nobili di corte o ad alleati stranieri.
Generalmente i matrimoni avvenivano all’interno della stessa comunità ed nella stessa classe sociale; riconosciuti e consentiti erano anche i matrimoni tra cugini, ma non quelli tra fratelli a cui, per motivi dinastici, ricorrevano solamente i membri della Casa Reale.
Ai giovani veniva lasciata una certa autonomia nella scelta della sposa, anche se non mancava una guida familiare, inoltre veniva concesso alle coppie di frequentarsi per un certo periodo prima del matrimonio allo scopo di conoscersi meglio.
Non essendo riconosciuto alcun carattere sacro o istituzionale alla volontà di due persone di unirsi e formare una famiglia, una vera e propria cerimonia non esisteva, però le famiglie dei due fidanzati si riunivano per festeggiare l’evento con canti, danze ed un banchetto. Per l’occasione indossavano tutti, amici e parenti, ma soprattutto le donne, abiti sfarzosi e gioielli sfavillanti ed insieme festeggiavano l’unione dei due fidanzati che sancivano con una promessa d’amore e di fedeltà la loro intenzione di formare una nuova famiglia.
“Io ti prendo come sposa.” recitava lui
“Io ti prendo come sposo” recitava lei.
In epoca come quella babilonese, ebraica, egizia, la prosperità e il rispetto di una famiglia si riconosceva soprattutto nel numero dei figli.
“Felice colui che ha molta gente attorno a sé: egli è rispettato a causa dei suoi figli”
Si legge nelle Istruzioni di Pthahotep.
Una numerosa figliolanza, dunque, era l’aspirazione di ogni coppia; la ricchezza e il prestigio era commisurato al numero dei componenti della famiglia.
Com’era la posizione della donna in seno alla famiglia egizia? Era assolutamente privilegiata. A lei era affidata la conduzione della casa ed a lei era demandata l’educazione dei figli per i primi sei anni di vita. In modo esclusivo e senza interferenza da parte del marito.
Un marito, però, sempre presente e premuroso.
Quando, però, amore, premure ed attenzioni venivano a mancare e l’uomo desiderava convolare a nuove nozze, la tradizione voleva che alla donna ripudiata fosse riconosciuto un congruo risarcimento. Le cause di divorzio erano soprattutto l’adulterio e la sterilità, ma anche il desiderio di una nuova famiglia.
La donna ripudiata era libera di risposarsi.
Anche la donna vedova poteva liberamente risposarsi; in caso decidesse di non farlo e di restare nella casa del defunto marito, ne diventava il capo famiglia e si sottraeva alla tutela della famiglia del marito deceduto; dei beni del marito ereditava un terzo mentre il restante veniva diviso tra i figli. In sostanza, al contrario di altre culture, la vedova egizia era rispettava e protetta.
Molte le esortazioni dei Saggi che suggerivano il comportamento da tenere nei confronti delle vedove.
“Non ti avventare su una vedova quando la trovi sola nei campi.”
e ancora
“Non negare il tuo orcio d’olio ad una vedova, ma raddoppialo di fronte ai tuoi fratelli:”

A G A R

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