giovedì 9 aprile 2015

IL REN ... il nome segreto




Il mio nome è MARIA PACE. Il ren, ossia il nome, dicevano gli Antichi Egizi, é lo strumento che conferma l’esistenza di una persona, uomo o donna. Senza il proprio nome, dicevano, la persona non esiste.
Questo, d’altronde, vale anche ai giorni nostri: basta guardare gli imbarazzanti atteggiamenti dei concorrenti dei vari reality che imperversano in TV.
Ai tempi degli antichi Egizi, il nome era una cosa seria. Ne volete una prova?
ISIDE, la più potente fra le Divinità femminili del Pantheon egizio, narra una leggenda, decise un giorno di concentrare in sé tutta la potenza divina, detenuta dal vecchio e bavoso Ra, Padre degli Dei.
Con la complicità di TIAMAT, Dea-serpente, iniettò del veleno nel corpo di RA e lo ricatto:
“Rivelami il tuo ren, il Tuo nome segreto, ed io ti libererò di questa sofferenza.”
Il Padre degli Dei temporeggiò e provò ad ingannarla:
“Io sono Khepry che sorge al mattino – disse – Ra che arde a mezzogiorno e Ammon che tramonta a sera.”
“Questo non è il tuo ren.” insistette la Dea.
Quando RA capì che ISIDE non avrebbe ceduto, fu lui a capitolare:
“Figlia ingrata!” proruppe e la pregò di accostare l’orecchio alle sue labbra affinché altri non udissero il suo divino-ren.
Se tutto ciò non vi pare ancora sufficiente a comprendere l’importanza del “nome” per gli antichi Egizi, sentite questa, allora!
Sapete quel che il faraone Thutmosis III fece a sua zia, la famosa Regina-Faraone Huthsepsut, Grande Consorte Reale di Thutmosis II?
La Regina si fece sedurre dal potere e, di fatto, regnò per diciassette anni circa sul Paese. E non come Reggente, (Thut III era ancora ragazzo) ma come una vera Sovrana.
Quando il nipote-figliastro riuscì ad agguantare il potere, fece scomparire il nome, si dice, da tutti i suoi monumenti. Cancellandone il nome, il Faraone volle cancellarne il ricordo, la memoria e l’esistenza stessa.
Davvero straordinari, questi Antichi Egizi, eh!!

VITA da FARAONE




Il Faraone era un Sovrano diverso da tutti gli altri e diversa era anche la sua vita.
A differenza delle altre civiltà dell'età del bronzo le quali si  svilupparono in una serie di città-stato rivali tra loro, l'Egitto manifestò subito una tendenza verso una unità nazionale personificata nella figura del suo Dio-Re al cui modello umano finirono per uniformarsi, gradatamente, tutte le altre Divinità.  La figura del Dio-Re, concreta e tangibile, riusciva a soddisfare le esigenze di un popolo che possedeva di Dio un'immagine reale.
L'intero Paese prendeva parte alla "creazione" de suo Re-Dio fin dalla sua Incoronazione, una Cerimonia a cui partecipavano tutti gli Dei ed in cui  egli riceveva le varie Corone: la Corona Rossa del Basso Egitto, la Corona Bianca dell'Alto Egitto, ma anche  il Casco Blu da combattimento o la Corona  Atef, ecc...  tutte oggetto di culto.

La concezione di Sovrano quale Dio-Incarnato faceva di lui la personificazione della Ma'at, vocabolo che tradotto vuol dire "Rettitudine" "Giustizia" "Verità", cosicché, con la sua Incarnazione, il Sovrano diventava il garante della Giustizia e  dell'Ordine Precostituito delle cose.
Con lui si apriva una nuova era. Ad ogni cambiamento di Re,  l'intero universo veniva ricreato secondo lo schema originario: la Ma'at, infatti, poggiava sulla tradizione degli eventi avvenuti in passato ed ai quali, nelle sue azioni, il Re doveva uniformarsi. La  Regalità,  infatti, era immortale e non riferita alla persona fisica, bensì al concetto che rappresentava.
Il Faraone che appariva per la prima volta al suo popolo era paragonato al Sole, ma  ciò che si celebrava attraverso la Cerimonia di Incoronazione non era la persona, non era l'uomo, ma l'istituzione e il principio di Regalità.
Il Faraone non era l'uomo, ma il principio che incarnava: al suo cospetto, come al cospetto di una Divinità, ci si presentava con le dovute precauzioni perché l'influenza e l'influsso che emanavano dalla sua persona erano quelle di un Dio, capaci di folgorare e incenerire.

Per questo il Faraone é diverso da ogni altro Sovrano; egli  non poteva comportarsi secondo la propria volontà, ma doveva render conto al suo popolo ed agli Dei di cui era l' Incarnazione ed all'universo di cui era il garante.
La regolamentazione delle sue attività e della sua condotta erano assai rigide e come disse Diodoro:
"... egli aveva un tempo fissato non solo per quando doveva tenere udienze. rendere giustizia, ma anche per quando doveva passeggiare, fare il bagno o dormire con la consorte. In una parola, per ogni attività."
Ogni suo atto, pubblico o privato, era determinato da Leggi prescritte e non da volontà propria. A servirlo, inoltre, non erano servi o schiavi comuni, ma personale giovane e qualificato appartenente alle più nobili famiglie.
La vita di un Faraone non era, pertanto, semplice e sempre piacevole, come per certi sovrani di altre epoche o Paesi, ma piuttosto gravosa e pesante. Cominciava fin dal mattino un complicato rituale che andava dal risveglio alla cura della persona e alla scelta dell'abbigliamento: dalla parrucca ai sandali.
Uno dei titoli più ambiti era quello di "Portatore dei Sandali del Re".
Gli impegni quotidiani erano molteplici: doveva concedere udienze, praticare il culto, esercitare la giustizia... il sacro e il quotidiano, dunque, erano  legati indissolubilmente l nella sua persona di Uomo-Dio

La complessa religiosità degli Egizi




Era convinzione di questo straordinario popolo, che l’esistenza umana attraversasse tre momenti, tutti e tre fondamentali, misteriosi e complessi:
- la vita terrena
- la morte
- la vita ultraterrena
Già cinque secoli prima di Cristo, lo storico Erodoto scriveva:
“Gli Antichi Egizi erano un popolo che praticava il Culto dei Morti, ma amava intensamente la vita.”
Sembra una contraddizione,  ma non lo è!

- La Vita terrena, dicevano gli Antichi Egizi, era un dono che gli Dei facevano alla creatura umana per consentirle di prepararsi alla vita ultraterrena: l’Eternità e l’Immortalità.
Questo popolo fu ossessionato dall’idea di Immortalità: per essa, eresse opere colossali come La Sfinge e le Piramidi, innalzò Templi e Santuari che  sfidano ancora oggi il Tempo.

- La Morte, per il popolo nilotico, costituiva un passaggio tra la prima fase e la seconda e non era vissuta  con l’ossessione dei giorni nostri. Poteva essere traumatica, certo, e certamente era rifuggita, ma, al contempo, accettata con fatalità e pragmatismo.

- La vita ultraterrena, ossia la Vita Eterna, desiderata ed agognata da tutti, non era, però, appannaggio dell’intera umanità, poiché bisognava meritarsela. Per comprendere appieno la profondità di questo pensiero filosofico, basta leggere qualcuna di quelle Massime Sapienziali che invitavano a vivere una vita terrena onesta e operosa e generosa:
“L’uomo litigioso causa disordini.”
“Non essere malvagio: la bontà genera simpatia.” oppure:
“Onora una vita di lavoro: l’uomo che non ha nulla diviene desideroso dell’altrui proprietà.”
“Agisci rettamente durante il tuo soggiorno terreno.”
E ancora:
“Aiuta le vedove e coloro che sono in lacrime.”

Per consentire tutto questo, dicevano gli Antichi Egizi, Dio aveva dotato la creatura umana di una complessa natura e di un certo numero di… per comodità le chiameremo entità, termine da cui esoterici e pseudo-studiosi, hanno sempre attinto a piene mani per le loro bizzarre dottrine, teorie e affermazioni.
Sette. Erano sette, queste entità, ognuna con un compito ben specifico.
- Djet: il corpo, deputato ad operare durante la vita terrena. Viveva fisicamente le esperienze di vita, come amare, lavorare, essere la salute o sopportare la malattia,  ecc.
- Ka: chiamato anche “Doppio”. Copia esatta del djet, era fisicamente inconsistente, trasparente ed evanescente; corrispondeva a quello che noi, gente moderna, chiamiamo Spirito o Fantasma.
Era raffigurato con due braccia sollevate verso l’alto ed era quella, fra tutte le entità del defunto, che aveva il compito di intraprendere il viaggio nell’Oltretomba per sottoporsi al Giudizio di Osiride.
- Ba: un po’ difficile, definire questa entità. Di sicuro era qualcosa di speciale, che solo la creatura umana possedeva e che la differenziava all’animale (senza anima).
Alla sottoscritta piace definirla la parte divina che è in ogni essere umano: l’Anima, che Dio trasfuse all’uomo quando lo creo, soffiandogli attraverso le narici. (concetto ripreso successivamente dalla cultura ebraica: basta leggere la Bibbia e la Creazione dell’uomo)
Il Ba è raffigurato come un uccello (quasi sempre un airone) con testa umana, forse a causa della presenza dei numerosi stormi d’uccelli che stazionavano sulle cime dei monti delle necropoli.
- Ib: il cuore, sede della coscienza e del carattere di ogni individuo.

- Shut: l’Ombra. Copia in negativo del djet, alla morte dell’individuo, l’Ombra si staccava dal corpo e vagava inquieta nell’attesa del Giudizio di Osiride. Accadeva anche che lo seguisse nell’Aldilà.

- Ren: il Nome. Era così importante, questa entità, da negare l’esistenza a chi non lo possedeva o non lo possedeva più. Basti pensare al deplorevole uso di cancellare da Templi e Monumenti, il nome di alcuni Faraoni scomodi, come il celeberrimo Akhenaton, al solo scopo di cancellarne la memoria.
- Akh: chiamato anche il Glorioso o il Luminoso.



Cosa accadeva ad una persona appena defunta?
Ecco il rituale cui era sottoposta e il mito, a cui il popolo egizio si aggrappava.
Convinto?... Immagino di sì!... Almeno quella parte del popolo tenuto nell’ignoranza!
Subito dopo il decesso, i Sacerdoti funerari prelevavano il cadavere e lo trasportavano alla Casa dell’Imbalsamazione per prepararlo “fisicamente” all’Immortalità.
Settanta o anche ottanta giorni, durava il processo di conservazione del corpo, ma qui, bisogna fare una distinzione fra Imbalsamazione e Mummificazione.
La seconda era un “processo naturale” di conservazione del corpo e lo si praticò, all’incirca, fino alla IV o V Dinastia (epoca di Giza, Sakkara, ecc). Non occorreva intervenire sul corpo, poiché bastavano clima secco e temperature elevate.
La prima era, invece, un “processo artificiale”. Il  corpo veniva svuotato degli organi molli (fegato, stomaco, intestino e polmone, i quali venivano conservati in appositi contenitori,  conosciuti con il nome di vasi canopi) e il vuoto era riempito con paglia, resine, balsami; poiché non si praticava ancora la sutura delle ferite,  queste tendevano ad aprirsi. Per ovviare all’inconveniente, il cadavere veniva avvolto in bende tenute insieme da una colla, scura e densa. Ancora oggi non se ne conosce bene il composto, che  qualcuno chiamò (in egiziano): mummif (bitume), da cui la parola  mummia.



Seguiva una cerimonia funebre officiata, alla presenza di amici e parenti, da Sacerdoti funerari, tra cui il sacerdote-sem, riconoscibile (in pitture parietali o papiri) dalla pelle di leopardo sulle spalle e il chery-webb, Sacerdote –lettore,riconoscibile dalla lunga stola bianca adagiata su una spalle.
Prima di calare il sarcofago nella tomba,  si metteva in atto un complesso rituale conosciuto come “Il rito dell’apertura della Bocca”, che avrebbe restituito i sensi al defunto e gli avrebbe consentito una vita  “normale”..

Cosa accadeva, nel frattempo alle altre entità?
Il Ba, l’Anima, usciva dalle narici e con forma di uccello con testa umana, volava sulle montagne della necropoli. Qui restava in attesa di congiungersi alle altre entità, dopo il Giudizio di Osiride.
Anche la Shut, separata dal corpo, restava in attesa e in caso di Giudizio sfavorevole, si aggirava di notte, arrecando ovunque terrore e danno. Qualche volta riusciva a seguire il Ka nel suo peregrinare lungo le vie dell’Oltretomba e, se il Giudizio di Osiride fosse stato sfavorevole, non c’era scampo neppure per essa.
-L’Ib, il Cuore, doveva raggiungere il Tribunale di Osiride per essere giudicato. Messo su uno dei piattelli della Sacra Bilancia di Maat, Dea della Verità e della Giustizia, doveva pesare non più della Sacra Piuma, che la Dea si staccava dal capo e poneva sull’altro piattello.



Ma… torniamo al Ka, lo Spirito. Era il solo (a parte il Cuore) fra tutte le entità del defunto, a mettersi in viaggio attraverso le oscure ed insidiose vie della Duat, l’Oltretomba egizia. Doveva affrontare creature spaventose come il serpente Apep,(meglio conosciuto con il nome di Apofi), il leone Akhet, il coccodrillo Shui e molte altre ancora; doveva percorrere fiumi dalle acque impetuose, laghi di fuoco, montagne di ghiaccio e… (chi più ne ha, più ne metta).



In questa impresa, però, non era né solo né sprovveduto:  Divinità funerarie erano pronte ad aiutarlo e, naturalmente, la  Magia... la magia, ancella della Religione o, più esattamente, sua comprimaria: il defunto, infatti, aveva a sua disposizione He-kau, formule magiche per affrontare pericoli e annientare nemici. Erano, per lo più, scritte su scarabei di pietra turchese; in alcune tombe ne sono stati trovati fino a novanta esemplari.
Giunto alla Sala del Tribunale, lo aspettavano Osiride e la Corte dei Quarantadue Spiriti, ognuno dei quali rappresentava un peccato: invidia, inganno, appropriazione indebita, ecc.)
Formule magiche, naturalmente, lo aiutavano a superare le difficoltà… D’altronde, bastava essere innocente di almeno Sette dei Quarantadue Peccati per scongiurare la fine.
Una fine davvero orrenda, quella riservata ai peccatori: le fauci di Ammit la Bestia, un ibrido con testa di ippopotamo, corpo di leone e coda di coccodrillo.
Il Ka che fosse riuscito a superare il Giudizio, poteva fare due cose (e di solito le faceva entrambe): restare nell’Oltretomba e soggiornare negli Hotep Jaru, il Paradiso egizio, come  Spirito, oppure tornare nella hut-ka, la tomba, dove lo aspettava il corpo imbalsamato e dove poteva congiungersi alle altre entità e vivere fisicamente in quella dimora.
Era quello, infatti, lo scopo della preservazione del corpo fisico: dare un supporto allo Spirito e permettere al defunto la sua Vita Eterna.

E l’Akh, il Luminoso?
All’interno della tomba poteva accadere uno strano fenomeno: dopo un po’, il corpo di un defunto innocente e virtuoso cominciava ad emanare luce. Meno erano i peccati, più intensa si faceva la luce: un modo poetico, forse, degli Antichi Egizi, di spiegarsi il fenomeno dei fuochi fatui.

martedì 7 aprile 2015

A G A R - dove acquistare il libro



Agar
Authored by Maria Pace       

List Price: $14.75                 EURO  15.57
6" x 9" (15.24 x 22.86 cm) 
Black & White on White paper
382 pages

Versione in lingua ITALIANA

ISBN ISBN-13: 978-1511520973 (CreateSpace-Assigned) 

Oppure direttamente presso l' Autrice: SCONTATO  ed  AUTOGRAFATO
mariapace2010@gmail.com





Agar Paperback – April 9, 2015    versione in lingua inglese







L'OCCHIO DIVINO... Occhio di Horo o Occhio di Ra oppure Occhio di Osiride?




Occhio di Ra, Occhio di Horo, Occhio di Osiride: sono simboli ricorrenti nel pensiero teologico del popolo egizio: complesso e incomprensibile per noi gente moderna.
Il culto dell’Occhio Divino, in realtà, è presente anche in altre culture ed è sempre simbolo della “Grande Dea dell’Universo.”
Non si può dimenticare che l’inizio della civiltà egizia coincide con la fine del Matriarcato e che molti dei miti e dei simboli del Matriarcato confluiranno nel nuovo pensiero teologico.
Lo stesso avverrà per le altre culture, d’altronde.
Ma vediamo un po’ più da vicino questi simboli.

- L’Occhio di Ra (occhio destro), raffigurante la forza del Dio Supremo
Nella Dottrina Eliopolitana di On (la Eliopolis dei Greci) il Neter-Wa o Dio-Unico o Supremo, si chiamò per prima Atum, poi Atum-Ra e infine semplicemente Ra.
Viveva immobile nel Nun (Acque Primordiali), fornito di un “Occhio” (Irep), assieme ai figli: Shu e Tefnut.
Un occhio, però, che, raffigurato, non era mai umano, ma di un falco.
Il mito racconta che un giorno Shu e Tefnut si allontanarono da lui e si persero nel Nun. Ra, allora, mandò il suo “Occhio Divino” a recuperarli.
Al ritorno, però, l’Occhio trovò una sgradita sorpresa: al suo posto c’era un altro Occhio. S’infuriò così tanto a quella vista, che per placarlo, Ra dovette trasformarlo in un cobra e attorcigliarselo intorno al capo.
Quando più tardi Ra si ritirò per lasciare il Mondo Creato nelle mani degli Dei prima e degli uomini dopo, questo atto fu considerato la prima forma di incoronazione di un Faraone: l’urex, il cobra divino, eretto sulla fronte.
Dalle copiose lacrime versate dall’Occhio in quel frangente, nacque il genere umano: questa parte del mito comprova la natura femminile dell’Occhio Divino.
L’uomo, dunque, nella Teologia di Eliopoli, nasce dalle lacrime di rabbia dell’Occhio Divino di Ra, il Dio Supremo.
Il primo Occhio divenne il Sole e il secondo, la Luna.  Vediamo come e quando.


- L’Occhio di Horo (occhio sinistro)
Se il primo mito è legato ad Eliopoli, quello riguardante Horo è parte, invece, della Dottrina Osiriaca di Abidos, centro in cui si praticava il culto di Osiride.
Horo, figlio di Osiride, lotta con Seth, fratello di Osiride ed usurpatore del suo trono (Seth regnava sul Delta e Osiride nella Valle).
In uno dei numerosi scontri, Seth riuscì a strappare un Occhio (l’Udjat) al nipote ed a gettarlo via; dal canto suo, il giovane Horo non fu da meno e gli strappò gli organi genitali.
A questo punto intervenne Thot, Dio della Sapienza, Signore della Magia e Guardiano della Luna.
Thot si pose immediatamente alla ricerca dell’Occhio e lo ritrovò nella Tenebra Eterna.
Lo ritrovò, però, ridotto in pezzi e lo ricompose, ottenendo una frazione di 63/64, così rappresentati: 1/2 - 1/4 - 1/8 - ecc.
Ogni frazione divenne una fase della Luna: calante e crescente.

Questo racconta il mito, nella pratica, invece, troviamo l’Udjat (Occhio di Horo) sotto forma di amuleto contro gli infortuni, utilizzato da coloro che praticavano attività pericolose. Lo ritroviamo anche nelle tombe, a protezione da insidie e pericoli cui era sottoposto il Ka (spirito) del defunto, nel viaggio attraverso la Duat (oltretomba).

(curiosità: se visitate il Museo Egizio di Torino, vi capiterà di veder dipinto un “Occhio” su qualche sarcofago: era una “finestra sull'universo” attraverso cui il defunto poteva dare una sbirciatina al mondo esterno… ah! Questi egizi!)

- l’Occhio di Osiride
Il mito narra che l’Udjat, essendo ormai mobile sul volto di Horo, sia stato da questi “prestato” al padre, Osiride, per risanarlo da una congiuntivite, malanno assai comune in Egitto… da cui, evidentemente, nemmeno gli Dei erano immuni.

lunedì 6 aprile 2015

A G A R - Origine dei popoli ISRAELITA ed ISMAELITA





AGAR, di origine egiziana, era la madre di Ismaele e SARA, di origine babilonese, era la madre di Isacco. Chi volesse conoscere le origini storiche del popolo israelita e le loro credenze, gli usi e i costumi,   (attinti alla cultura egizia ed a quella babilonese) può trovare esaurienti risposte nel libro di Maria PACE:           “A G A R”

PROSSIMAMENTE

EDITO  in lingua INGLESE   da editrice  AMERICA  STAR  BOOKS

anche in lingua italiana  presso   AMAZON




lo si può richiedere anche all'AUTRICE   Scontato ed Autografato
mariapace2010@gmail.com

LA REGINA HUTHSEPSUT



       
  
Questa figura di Regina ha sempre affascinato studiosi e scrittori  e di lei si è molto discusso e si continua a farlo. Dei fatti che la riguardano, la versione più attendibile ed universalmente  accettata da studiosi ed egittologi è, forse, quella che segue.
Figlia del faraone Thutmosis III, della XVIII Dinastia, sposò, come consuetudine, il fratello Thumosis II. Alla morte di questi, essendo l’erede, il futuro, grande faraone Tutmosis III, ancora troppo giovane per governare il Paese, la Regina ne assunse la Reggenza.
Huthsepsut, però, non si accontentò di questo ruolo e quel che seguì fu uno degli esempi di intrighi di corte più clamorosi della storia.
Attraverso una messa in scena assai teatrale, occupò il trono senza colpo ferire e vi regnò per più di 20 anni come Regina-Faraone. Un mattino, mentre officiava in onore del dio Ammon, questi le apparve e, fra tuoni, fulmini e saette, così proclamò (pressappoco):
“In Te voglio compiacermi, figlia mia. Da oggi il tuo nuovo nome sarà Kem-hut-Ra: Colei che regna su Kem (Egitto) con il favore di Ra.”
Donna bella, colta e ambiziosa, era dotata anche di una acutezza politica e molte furono le riforme sociali da lei introdotte nel Paese. Era anche molto coraggiosa. Si narra che da bambina il padre la portasse spesso a caccia con sé.
Nell’assumere il potere, (si dice) si attaccò alla schiena la coda del leone da lei stessa cacciato e si pose al mento la “barba rituale”, per mostrare di essere coraggiosa e capace non meno di un uomo.




A sostenerla in questo progetto c’era, naturalmente, una corte di fedelissimi, sia a Palazzo Reale che al Tempio di Ammon. Primo fra tutti, fu Senenmut, architetto e Gran Dignitario, da cui ebbe anche una figlia: Nefrure, che in seguito fece sposare all’erede, Thutmosis III.
Per la sua tomba non scelse la Set-Maaty (Sede della Giustizia), oggi meglio conosciuta con il nome di “Valle dei Re”, dove erano sepolti tutti i Sovrani, ma non volle neppure la Set-Nefrure,(Sede della Bellezza) dove erano sepolte le Regine. Lei scelse un sito diverso, l’attuale Deir-el-Bahari, dove si fece costruire uno dei più straordinari Complessi Funerari: il Sublime dei Sublimi.
Sulle pareti e sulle colonne fece trascrivere la sua storia, quelle delle sue conquiste militari e, soprattutto, l’accoglienza, alla nascita, da parte del dio Ammon, Patrono di Tebe, che la riconosceva come  “Sua Figlia” e ne legittimava il diritto ad occupare il trono d’Egitto.
Morì all’età di 60 anni circa, dopo quasi 22 anni di regno.
La tradizione vuole che il successore, dopo la sua morte, si sia accanito nel voler cancellare di lei perfino la memoria, per vendicarsi di averlo per così tanto tempo tenuto lontano dal trono. In realtà, il faraone Thutmosis III, fece vaghi cenni, in alcune iscrizioni, ad un “periodo di disaccordo” con la Regina.
Certo è che non era facile far cancellare tutte le iscrizioni dai colossali monumenti fatti erigere dalla Regina; più devastante fu l’intervento del faraone Akhenaton, che ordinò di cancellare il nome di Ammon da tutti gli edifici del Paese, compresi quelli della Regina-Faraone.

per conoscere da vicino questa straordinaria Regina, RICHIEDERE  il libro

"A G A R"  di Maria  PACE

AUTOGRAFATO  e con DEDICA
direttamente a   mariapace2010@gmail.com

OASI del DESERTO







LE  OASI

"Tratto di terra fertile e verdeggiante in mezzo al deserto."  Così recita il dizionario.
In realtà, il paesaggio di un'oasi é sempre o quasi sempre artificiale, opera, cioé, della mano dell'uomo.
La sua esistenza dipende dalla presenza di acqua necessaria ad alimentare una vegetazione costituita prevalentemente dalla palma da dattero, pianta  indispensabile a favorire l'insediamento umano ed a farne un luogo adatto alle tappe delle carovane in transito nel deserto.
A nutrire un'oasi può essere l'acqua di un fiume o di una sorgente, ma anche quella presente nel sottosuolo;
in questo caso a riportarla in superficie sono i pozzi artesiani
L'oasi si può definire, dunque,  un mondo rigoglioso circondato dal deserto. Tale rigoglio, però, é soprattutto opera dell'uomo. Del fellahin, come viene chiamato il contadino delle oasi.
Il fellahin  conduce con il deserto una lotta strenua e continua per conservare lo spazio di cui già dispone e per tentare di sottrargliene dell'altro.  I fellahin, infatti, usano piantare palme giovani  nella   sabbia  ai  bordi dell'oasi. Le irrigano anche due o tre volte  la settimana, fino a quando non metteranno radici che  si spingeranno nel sottosuolo alla ricerca della falda freatica  acquifera che permetterà loro di sopravvivere.
Il fellahin, dunque, deve lottare strenamente e continuamente con il deserto per sottrargli spazio e soprattuto per non lasciarselo portar via , poiché il deserto tende  a riprendersi ciò che gli appartiene.
In questa lotta con la natura e non contro la natura,  il contadino ha un  altro avversario, alleato del  deserto: il vento.  Il vento, infatti, tende a sommergere di sabbia le piante, soprattutto quelle più giovani e delicate, sabbia che deve essere continuamente rimossa.

Quasi tutti i deserti del nostra pianeta sono privi di corsi d'acqua perenni; il Sahara é percorso da widian,  grandiosi corsi d'acqua asciutti, che suggeriscono la presenza in un passato remoto di grandi fiumi.  Oggi le piogge sono  rarissime, brevi e assai violente;  provocano piene effimere, a causa dell'immediata evaporazione delle acque e del loro assorbimento da parte del terreno,  ma riescono a nutrire le numerose falde freatiche del sottosuolo  che  nel territorio sono numerose sia in superficie che in profondità.
Le prime danno vita ad oasi spontanee, le seconde, invece, vengono raggiunte dalla mano dell'uomo attraverso la escavazione di pozzi artesiani. Entrambe, però, sono  frutto  dell'operosità dell'uomo, senza il quale, il deserto tornerebbe a seppellire ogni cosa.
E' la quantità d'acqu, dunque, a favorire la densità della popolazione di un'oasi. Si tratta di popolazioni sedentarie che non conoscono oppure hanno lasciato il peregrinare attraverso il deserto in cerca di pascoli per i loro armenti e che  molto spesso si dedicano alla coltivazione di altre piante oltre a quella da dattero ed all'allevamento di bestiame e attività inerenti.

domenica 5 aprile 2015

AGAR - Presentazione

AGAR  di  Maria PACE
romanzo storico-biblico




Agar nasce a Tebe, durante il regno di Thutmosis III, da una Sposa Secondaria del Sovrano. Cresce fra gli agi della corte e la reclusione del gineceo reale, mal sopportando il ruolo impostole dal destino e dalla tradizione maschile. La sua storia personale si intreccia con le vicende di alcuni Faraoni, come Thutmosis III, suo figlio Amenopeth II, la Regina-Faraone Huthsepst. Testarda e ribelle, raggiunge la maggiore età, evento che coincide sempre con un matrimonio combinato. Per Agar, però, lo sposo non è un uomo comune: il suo nome è Abramo e viene dalla terra di Ur dei Caldei. La vita che l’aspetta è assai diversa da quella condotta a Tebe. Un lungo viaggio la porterà a Mambre, dove incontrerà nuove genti e intreccerà nuovi rapporti e dove conoscerà speranze e delusioni. Alla fine, però, scoprirà il vero ruolo della sua vita.

su  AMAZON

tradotto in lingua inglese e lanciato sul mercato di STATI UNITI  -  CANADA  -  GRAN BRETAGNA
da AMERICA  STAR  BOOKS



I Matrimoni Incestuosi di Faraoni



Perché i Faraoni sposavano figlie e sorelle, praticando, così, l’incesto?
La domanda è legittima e la risposta pare scontata:
“Per preservare la purezza del sangue.”
Un fondo di verità c’è, in questo, ma ci sono anche altre cause: tradizione, politica, religione…
Sappiamo che l’Egitto non era il solo Paese a seguire tale consuetudine: il babilonese Abramo aveva per Sposa Primaria la sorella Sarai e l’ittita Suppilulumia, di sorelle ne aveva sposate addirittura due.
In realtà, in Egitto l’incesto era considerato un reato e come tale punito, ma solo per la gente comune.
Perché, dunque, quella pratica contro natura nelle Famiglie Reali?
In Egitto ( e non solo in Egitto) il trono si ereditava per via femminile: durante il matriarcato prima e in retaggio di tale sistema, dopo.
Era nelle vene della Grande Consorte Reale che scorreva il “sangue divino” ed era lei ad essere, da sempre, considerata “Figlia di Dio”. (basta dare uno sguardo alle iscrizioni del Tempio di Deir El Bahary, il Complesso Funerario di Huthsepsut, la Regina-Faraone)

La Grande Consorte Reale trasmetteva alla principessa ereditaria il suo sangue divino assieme al diritto al trono:  questo, dunque, era “proprietà” della Grande Regina e passava in eredità alla figlia femmina e non al figlio maschio.
Il principe ereditario, designato dal Faraone in carica, lo riceveva dopo un complesso cerimoniale che possiamo riassumere in tre momenti:
- Le Nozze Divine:  tra la principessa ereditaria e il Dio Dinastico (Ammon, nel Nuovo Regno - Ra o Ptha nell'Antico Regno), celebrate nel Tempio Dinastico di Karnak, a Tebe: uno dei misteri più impenetrabili dell’Antico Egitto. (siamo ancora nel Nuovo Regno)
- Le Nozze regali:  della principessa e futura Regina con il principe ereditario
- L’atto sessuale: e il conseguente mescolamento di sangue.

Attraverso tale cerimoniale lo spirito del Dio-Dinastico passava dal corpo della principessa in quello del principe: il futuro Faraone. (Per-oa, ossia Palazzo Divino:  il luogo in cui si incarnava la Divinità. Faraone, che vuol dire Incarnazione di Dio )



In teoria,  ogni uomo poteva, sposando la principessa ereditaria, diventare Faraone.
Il pericolo di guerre dinastiche tra principi era reale ed elevato; non esisteva diritto di primogenitura, ma solo quello di designazione da parte del Faraone, anche se di norma ad essere designato era, ma non sempre, il primogenito. (Ramseth II, ad es. era il quarto figlio di Sety e il fratello primogenito gli mosse guerra; Keope, al contrario,  era il quinto figlio di Snefru e suo fratello primogenito fu tra i progettisti della Grande Piramide)
Reale ed elevato era anche quello costituito da guerre di conquista da parte di stranieri.
Il Faraone in carica, dunque, alla nascita della principessa ereditaria le assegnava un marito: uno dei principi ereditari. Accadeva, però, anche che la prendesse in sposa egli stesso, in assenza di fratelli.
Così fece il faraone Amenopeth IV (conosciuto anche come Akhenaton), che sposò tutte e sei le figlie; Sua Maestà Sety I, invece, fece sposare due sorelle al suo successore designato: Ramesse II (che pure era già sposato con la bellissima ma molto borghese Nefertari)
Lo stesso fece il faraone Thutmosis I con il figlio Thutmosis II, che diede come marito alla celeberrima Huthsepsut, Regina-Faraone.

nota: si suppone che sia stato per impedire una guerra dinastica che la principessa Maritammon, figlia di Akhenaton, e sorella di Anksenammon, moglie del celeberrimo Thut-ank-Ammon abbia finito per sposare il generale Haremhab diventato, in seguito a ciò, Faraone:  un Faraone usurpatore e anello di congiunzione con la XIX Dinastia  dei Ramessidi... usurpatori anch'essi..

Il Matrimonio nella cultura egizia




"Creati una famiglia e ama tua moglie come si merita. Nutrila, vestila e rallegra il suo cuore. Essa é un buon campo per il suo signore."
Così si legge nelle “Esortazioni di Pthahotep”.
E ancora:
“Prendi moglie allorché sei giovane affinché essa possa darti un figlio. Dovresti averlo da giovane, onde poter vivere  sino a vederlo uomo.”
Crearsi una famiglia era un traguardo assai importante nell’antica cultura egizia: possedere una casa, prendere moglie, allevare figli.
L’egiziano antico era un uomo essenzialmente monogamo, nonostante l’istituto del concubinato. Una sola, infatti, era la    Nebet Per, ossia la  “Signora della Casa”, così come appare anche nelle statue che raffigurano la coppia dove la donna è ritratta sempre in dimensioni uguali a quelle  dell’uomo.
Naturalmente il concubinato esisteva, ma era praticato soprattutto nelle classi sociali più elevate ed  è comprovato da attestati matrimoniali delle varie spose. Anche qui, però, nel  gineceo, una sola era la Nebet Ipet ossia, la “Signora dell’harem”.
Era soprattutto il Faraone che, per rinsaldare alleanze politiche ricorreva a numerosi matrimoni attraverso i quali vedeva accrescere  il numero di figli e la possibilità di consolidare il potere. Ognuno di quei figli, infatti, veniva educato per ricoprire cariche pubbliche religiose o amministrative, mentre le figlie venivano fatte sposare a nobili di corte o ad alleati stranieri.




Generalmente i matrimoni avvenivano all’interno della stessa comunità ed nella stessa classe sociale;  riconosciuti e consentiti erano anche i matrimoni tra cugini, ma non quelli tra fratelli a cui, per motivi dinastici, ricorrevano solamente i membri della Casa Reale.

Ai giovani veniva lasciata una certa autonomia  nella scelta della sposa, anche se non mancava una guida familiare, inoltre veniva concesso alle coppie di frequentarsi  per un certo periodo prima del matrimonio allo scopo di conoscersi meglio.
Non  essendo riconosciuto alcun carattere sacro o istituzionale alla volontà di due persone di unirsi e formare  una famiglia, una vera e propria cerimonia non esisteva, però le famiglie dei due fidanzati si riunivano  per festeggiare l’evento con canti, danze ed un banchetto. Per l’occasione indossavano tutti,  amici e parenti, ma  soprattutto le donne, abiti sfarzosi e gioielli sfavillanti ed insieme festeggiavano l’unione dei due fidanzati che sancivano con una promessa d’amore e di fedeltà la loro intenzione di formare una nuova famiglia.
“Io ti prendo come sposa.” recitava lui
“Io ti prendo come sposo” recitava lei.

In epoca come quella babilonese, ebraica, egizia, la prosperità e il rispetto di una famiglia si riconosceva  soprattutto  nel numero dei figli.
“Felice colui che ha molta gente attorno a sé: egli è rispettato a causa dei suoi figli”
Si legge nelle Istruzioni di  Pthahotep.
Una numerosa figliolanza, dunque, era l’aspirazione di ogni coppia; la ricchezza e il prestigio  era commisurato al numero dei componenti della famiglia.
Com’era la posizione della donna in seno alla famiglia egizia?  Era assolutamente privilegiata. A lei era affidata la conduzione della casa ed a lei era demandata l’educazione dei figli per i primi sei anni di vita. In modo esclusivo e senza interferenza da parte del marito.
Un marito, però, sempre presente e premuroso.
Quando, però, amore, premure ed attenzioni venivano a mancare e l’uomo desiderava convolare a nuove nozze, la tradizione voleva che alla donna ripudiata fosse riconosciuto un congruo risarcimento. Le cause di divorzio erano soprattutto l’adulterio e la sterilità, ma anche il desiderio di una nuova famiglia.
La donna ripudiata era libera di risposarsi.
Anche la donna vedova poteva liberamente risposarsi; in caso decidesse di non farlo e di restare nella casa del defunto marito, ne diventava il capo famiglia e si sottraeva alla tutela della famiglia del marito deceduto; dei beni del marito ereditava un terzo mentre il restante veniva diviso tra i figli.  In sostanza, al contrario di altre culture, la vedova egizia era rispettava e protetta.
Molte le esortazioni dei Saggi che suggerivano  il comportamento da tenere nei confronti delle vedove.
“Non ti avventare su una vedova quando la trovi sola nei campi.”
e ancora
“Non negare il tuo orcio d’olio ad una vedova, ma raddoppialo di fronte ai tuoi fratelli:”

sabato 4 aprile 2015

Il Matrimonio nella Cultura Biblica




“Non è bene che l’uomo resti da solo, facciamogli un aiuto simile a lui.” si legge nella Bibbia (Tobia  (8/6)
Amore e Matrimonio.
Non solo unione sessuale allo scopo di procreare o avere una vita affettiva, però, ma anche vita di coppia  in unione con  Dio, rafforzata con la preghiera e la Benedizione.
Diciotto anni era l’età giusta per contrarre matrimonio per l’uomo e dodici e mezzo per la donna.
La Legge prescriveva che  la donna fosse libera di sposare chi voleva ma che la scelta restasse nell’ambito della tribù e che  cadesse sul parente più prossimo.Soprattutto se la donna era figlia unica, allo scopo di evitare  che il patrimonio finisse in un’altra tribù.
Era  necessario, però, il consenso del padre della sposa il quale aveva l’obbligo di cedere la figlia al parente più prossimo.

L’istituzione del matrimonio prevedeva due fasi:
-                   La Richiesta di  prendere in moglie una donna  fatta da amici o parenti delll’aspirante marito.
-                   L’accettazione formale da parte della donna.

Il Rito matrimoniale consisteva:
-                   Consegna della sposa allo sposo da parte del padre di lei
-                   Invocazione della Benedizione di Dio
-                   Stesura del contratto matrimoniale

Nel contratto matrimoniale si dichiarava la libera volontà dell’uomo e della donna di contrarre matrimonio, lo stato di verginità della donna, i beni che la donna doveva portare in dote  e l’ammontare dell Mohar, la somma che lo sposo doveva consegnare al padre della sposa o a chi aveva  potestà su di lei .

IL Mohar era una somma in  denaro o  in beni  che diventava proprietà della sposa, ma che di solito era amministrata dal padre di lei. Essa, però, tornava nelle mani della donna  in caso di divorzio o di  decesso del marito.
Ad accompagnare la stesura del Contratto Matrimoniale c’era anche  un rituale simbolico:  lo sposo copriva la sposa con il proprio mantello.  (in caso di divorzio, invece,  lo sposo tagliava un lembo del mantello della sposa).
A suggellare la Cerimonia Matrimoniale c’era il Banchetto Nuziale, allietato da danze, canti e  suoni.

Per vedove in seconde nozze, la cerimonia veniva celebrata il quarto giorno a partire dalla domenica e cioè il mercoledì. Per le ragazze vergini, invece, si celebrava il terzo giorno e cioè il martedì.
Il giorno successivo si riuniva il “Tribunale speciale”: se la ragazza non  era vergine le veniva inviato il  “Libello del ripudio”.
Con il matrimonio lo sposo acquisiva la potestà sulla  donna, ma non la proprietà. Egli aveva l’obbligo di  provvedere al suo sostentamento, ma non poteva vederla e cederla ad altri.Durante il rito, gli sposi  pronunciavano la formula attraverso cui manifestavano  la propria libera volontà ad unirsi in matrimonio:
“Tu  sei mia sorella per sempre.” dichiarava l’aspirante sposo.
“Tu sei mio fratello per sempre” dichiarava l’aspirante sposa
I termini “fratello” e “sorella” presso le antiche  culture avevano anche altri significati, tra cui “sposo” o “sposa”.

Le  cerimonie di Richiesta Matrimoniale o Fidanzamento  e quella di Matrimonio  vero e proprio erano distanziate da un lasso di tempo più o meno lungo ed erano accompagnate  da riti, feste e banchetti che  duravano non meno di sette giorni, un periodo chiamato “Settimana nuziale” , ma che poteva  prolungarsi addirittura per un’altra settimana. 


giovedì 2 aprile 2015

LA DONNA nella CULTURA BIBLICA




Nel grande Libro Sacro dell'Ebraismo, il  Talmud, si legge  "Dio non ha tratto la donna dalla  testa dell'uomo perché lo dominasse,  né dai piedi perché lui dominasse lei, ma dal fianco perché stesse vicino al suo cuore."

Nella Bibbia, invece,  sono varie le voci che  definiscono la "donna  ideale. Nei "Proverbi", ad esempio,  la donna ideale é madre e sposa laboriosa e attiva: l'ultima a coricarsi e la prima ad alzarsi: Non invadente né fastidiosa "come la pioggia che ingrigisce il giorno"" o sfuggente "come l'olio che non si può tenere nell'incavo della mano". Diversa   è invece la donna del "Cantico dei Cantici" in cui si esaltano le qualità fisiche... ma che, in realtà, é soltanto un Poema.

I costumi familiari  nella cultura biblica erano senza ombra di dubbio improntati sul  Patriarcato. I nomi dei grandi Patriarchi sono noti a tutti: Abramo, Isacco, Giacobbe… Notevole rilievo viene, dunque, dato all’uomo nell’ambito della famiglia e assai meno alla donna. Bisogna, però, tener presente che il fondamento  del Patriarcato aveva come fine la forza strutturale della tribù e la tribù poggiava sulla famiglia, nella quale la donna ricopriva soprattutto il ruolo di moglie e madre.

Ma vediamo nel dettaglio quella che era la condizione della donna biblica.
Non aveva alcuna potestà sui figli, essendo, questa, esercitata quasi esclusivamente dal padre.
Alla donna non era consentito  di divorziare dal marito; viceversa, questi poteva farlo in qualunque momento.Soprattutto in caso di sterilità: un difetto fisico imputabile solo alla donna e che l'uomo aggirava tranquillamente ricorrendo alla poligamia (ammessa ma contenuta per motivi economici).  Alla donna ripudiata veniva dato un documento che attestava la sua condizione di donna libera e la possibilità di contrarre nuovo matrimonio,

In verità, non mancarono voci contro questa usanza.Il profeta Malachia, ad esempio, farà dire a Dio: " Io detesto il ripudio

Rimasta vedova, la legge le permetteva di sposare il fratello del marito. (usanza  chiamata Levirato)  senza, però obbligo; obbligato invece era il fratello del defunto il quale in caso di rifiuto veniva tacciato di infamia.  I figli nati da questa unione, inoltre,  prendevano il nome del primo marito. Alla vedova era anche concesso di restare nella casa del marito defunto e di riprendersi la dote che poi passava i figli maschi, in caso di mancanza alle figlie femmine e infine ai fratelli del marito defunto.

Ancora in ambito familiare, una figlia femmina rappresentava sempre  una preoccupazione  per il padre e il consiglio era di mostrarsi in pubblico  riservata e  coperta di veli

In caso di necessità (e talvolta anche senza tale esigenza) il padre poteva vendere la figlia come concubina… consolante, però, sapere che a questo padre (sempre in caso di necessità) veniva concessa la facoltà di vendersi anche i figli maschi…

Qualcosa di buono per la donna?… sembra che la somma versata dallo sposo per procurarsi una moglie, restasse a lei, invece che aggiungersi al patrimonio dei nuovi parenti.
Qualcosa di simile accadeva anche alle donne romane, specialmente in epoca imperiale, le quali seppero farne buon uso (come vedremo in seguito) per affrancarsi (i primi tentativi, in verità) da secolari tradizioni.

A G A R

A G A R
Versione in lingua : inglese, francese, spagnolo - AMERICA STAR BOOKS

AGAR

AGAR
VERSIONE in LINGUA ITALIANA - su AMAZON